Gli insediamenti rupestri

Veduta della Lama di Santa Margherita

Insediamenti rupestri si trovano sul versante sud-ovest della città di Andria e sono collegate fra loro poiché si trovano in un territorio caratterizzato da grotte e formazioni carsiche. Nel quartiere San Vito esistevano grotte, di cui sono un esempio la cripta di Gesù di Misericordia, la Madonna dell’Altomare, San Vito, Santa Croce. Presenze interessanti di insediamento rupestre si registra in contrada Nebbia, non distante dalla lama di santa Margherita, dove si affaccia la chiesa-grotta della Madonna dei Miracoli.

 

I villaggi rupestri sono esempi del medioevo rurale pugliese. Si trovano soprattutto nel sud della Puglia, nella regione murgiana della provincia di Taranto e Brindisi, ma troviamo dei siti anche nella Puglia centrale, compresa per gran parte nelle province di Bari e Barletta-Andria-Trani.

Per molto tempo le chiese-grotte sono state considerate le strutture più significative degli insediamenti in grotta. Sono state attribuite a comunità di monaci italo-greche, i monaci basiliani, che a seguito di persecuzioni, iconoclaste prima, saracene poi, si insediarono in Puglia. Oggi l’elemento monastico viene considerato solo uno dei fattori che determinarono lo sviluppo della civiltà rupestre.

 

Le comunità monastiche si dedicavano al lavoro dei campi per il sostentamento; per questo le terre intorno agli insediamenti furono dissodate e coltivate. Intorno alle comunità monastiche si raggrupparono comunità contadine, che divennero comunità di servi affrancati, dipendenti da un monastero, il cui capo religioso e civile era l’Igumeno. Il dissodamento delle terre comportò un aumento della domanda dei prodotti della terra, un miglioramento delle condizioni economiche, un rinnovamento dei metodi agricoli.

In ogni comunità si rese necessario un luogo di culto, cui era destinata una grotta. I monaci decorarono questi luoghi, generalmente con affreschi rappresentanti la divinità e scene sacre.

I villaggi rupestri si sviluppavano a ridosso di centri urbani e convivevano con insediamenti rurali sub divo, come i casali.

 

La lama di Santa Margherita

A due chilometri dal centro storico di Andria, ad occidente, si incontra una valle, detta di Santa Margherita che in tempi remoti era attraversata da un torrente, di cui resta il letto, cioè la lama.

Il territorio è caratterizzato da un antico alveo fluviale e numerose cavità in cui è spesso riconoscibile l’intervento umano.

L’insediamento, inserito in un contesto naturale di grande interesse, conserva ancora elementi cultuali e civili chiaramente leggibili, come l’organizzazione urbanistica, il sistema di raccolta delle acque piovane, le cisterne.

Le grotte avevano destinazioni diverse, alcune cultuali, altre civili. Le chiese databili al X sec. si riconoscono per lo stile bizantino, quelli più rettilinei e geometrici sono posteriori al Mille e di derivazione normanna.

Nella balza che guarda ad occidente vi era una grotta scavata nel tufo con un piccolo altare, su cui era dipinta l’immagine della martire Santa Margherita.

A destra dell’altare un arco immetteva in un’altra grotta, con un altro altare e l’immagine della vergine Maria effigiata alla maniera greca.

Il Merra fa risalire il dipinto al Concilio di Efeso, cioè al VI sec. Secondo lo studioso la cripta risalirebbe all’epoca degli iconoclasti.

 

I casali

Nei pressi del villaggio rupestre di Santa Margherita si riconosce un insediamento sub divo, a dimostrazione che c’erano relazioni tra architettura scavata nella roccia e architettura costruita.

La parola Casale appartiene al latino medioevale e significa un piccolo gruppo di case. Questo tipo di insediamento risale quindi all’epoca della colonizzazione romana.

Le terre conquistate da Roma venivano distribuite ai soldati al termine del loro servizio o ad aristocratici che ampliavano i loro fondi. Alcune famiglie patrizie, allettate dal clima e dalla fertilità di Puglia e Calabria, si stabilirono in queste regioni. Così sorsero le ville romane e, con l’andar del tempo, con il moltiplicarsi delle famiglie, si formarono numerosi villaggi, alcuni dei quali ricordano i nomi di quelle famiglie.

All’interno di queste ville si formarono diversi gruppi di abitazioni, somiglianti ai casali, sparsi nelle campagne, nei quali ogni famiglia aveva accanto alla casa un piccolo campo da coltivare.

Intorno ad Andria sorsero casali e vici, villaggi, che poi scomparvero o si unirono a formare la città.

 

La chiesa rupestre di Santa Croce

La zona in cui è localizzata la laura di Santa Croce è caratterizzata dal terreno tufaceo e dalla presenza di grosse cavità naturali. Questa natura del terreno è dovuta dal carattere alluvionale della zona che in tempi remoti doveva essere attraversata da acque superficiali che, per la natura carsica del territorio, si sono interrate. La zona è caratterizzata da cavità sotterranee e nei tempi passati doveva essere il luogo ideale per la pastorizia e l’agricoltura.

La chiesa di Santa Croce sorge nel territorio di Andria alle pendici del Lagnone, che è un canale il quale attraversa il territorio omonimo. La costruzione è databile attorno al X-XI secolo, periodo di ampia diffusione nel territorio pugliese di strutture monastiche benedettine e basiliane. Tutte queste chiese rupestri originano da cavità o grotte carsiche. Il nome “Santa Croce” ha origine dal Santo Legno della Croce ritrovato secondo la tradizione dalla madre di Costantino, Elena. L’esterno è costituito da una originaria parte scavata nella roccia tufacea alla quale è stato aggiunto un avancorpo murario in blocchi adiacente ad un altro, anch’esso in tufo. L’interno è di forma basilicale, a tre navate sorrette da quattro pilastri naturali e chiuse da una quarta piccola navata trasversale. L’altare sorgeva nel mezzo di questa e dietro ad esso si prolungava la navata longitudinale mediana con un’abside semicircolare. La volta, ricavata dallo scavo nel masso, è sorretta da quattro pilastri in tufo di forma trapezoidale. La cripta è completamente affrescata con immagini della tradizione bizantina o proprie della liturgia romana.

La presenza delle laure ad Andria testimoniano la presenza dei monaci basiliani, sfuggiti alla persecuzione da parte di Leone III l’Isaurico avvenuta tra VIII e IX secolo d.C. Scavate nella roccia ed abbellite con pur semplici affreschi, le laure rappresentano un luogo di culto e di meditazione di una esperienza religiosa tra l’eremitaggio orientale ed il cenobitismo occidentale.

 

Il Gurgo

A circa due chilometri da Andria, verso ovest si apre una dolina, chiamata Gurgo. Si dice che lì anticamente sorgesse un villaggio, detto Trimoggia (Trimodie in un documento dell’834, conservato nell’archivio di Trani, un atto di donazione di un certo Atriani di Trimodie). In questo sito doveva esserci una chiesa dedicata a Santa Maria di Trimoggia. Fino all’XI sec. risiedeva un collegio di preti, che spesso dovevano affrontare incursioni esterne fino quando chiesero al vescovo Desidio di trasferirsi in città (R. Agresti, Il Capitolo Cattedrale). Infine i Normanni distrussero il villaggio.

Alle falde del Gurgo ci sono delle grotte, in una delle quali si venerava l’arcangelo Michele.

Anche in questo caso gli abitanti delle grotte erano organizzati in modo da poter parlare di civiltà rupestre.

Attualmente nel Gurgo si trovano delle grotte caratterizzate da conformazioni calcaree e il sito è caratterizzato da specie vegetali e animali autoctone.

 

Le grotte di Sant’Andrea

Entro le mura della città esisteva fino agli anni ‘50 il quartiere Grotte di Sant’Andrea, una zona tipica, paragonabile ai Sassi di Matera. Qualche studioso ha pensato che questo fosse il primo nucleo della città e che il primo suo protettore fosse appunto Sant’Andrea (G. Ruotolo, Il volto antico di Andria)

Il quartiere si presentava come un fitto labirinto di vicoli e vicoletti, con vani superaffollati. Il sindaco O. Jannuzzi e l’assessore all’igiene pubblica e alla sanità alla fine degli anni ‘50 del Novecento diedero il via ad un’inchiesta curata da Salvatore Liddo su questo rione compreso tra via Federico II di Svevia a nord, via Jolanda di Brienne e via C. Colombo a est, via D. Gentile ad ovest e via mura Porta Nuova a sud. Il quartiere aveva un dislivello di 7 metri rispetto alle vie perimetrali, quindi le acque piovane e quelle domestiche scorrevano sulla superficie dei vicoli e venivano raccolti in pozzi neri statici.

La maggior parte delle case aveva un ambiente unico, adibito a più usi e la vita delle famiglie spesso era in comune con gli animali domestici. Le case contenevano anche gli attrezzi da lavoro e si trasformavano in cucina di giorno e povere camere da letto con pagliericci durante la notte. Mancavano di aria e di luce naturale, non avevano pavimento, ma chianche e quasi tutte erano comunicanti con altre grotte.

Il quartiere fu smantellato e la popolazione fu inviata inizialmente nella frazione di Montegrosso e la zona fu ricoperta dal manto stradale e divenne un largo spazio, detto appunto largo Grotte.

 

Insediamenti monastici benedettini

Nel territorio di Andria sembra attestata anche la presenza dei Benedettini.

Le pergamene della raccolta di Trinchera, Syllabus Graecarum Membranarum, conservato nell’Archivio di Napoli, rivelano la proprietà benedettina di terre nei dintorni della futura città di Andria (lo attestano P. Barbangelo e G. Mucci). Le pergamene dimostrano la presenza ad Andria di comunità benedettine in contemporanea con la presenza basiliana. 

Le notizie sui possedimenti si ricavano dai decreti di restituzione ai benedettini dei beni, forse rapiti da privati in seguito alle incursioni e devastazioni saracene del secolo X.

Le pergamene scoperte dal Trinchera il 1865, scritte in greco e tradotte nel basso latino del tempo, riportano i decreti di tre governatori (catapani) d’Italia riguardanti la restituzione ordinata dall’imperatore di Costantinopoli Basilio II (976-1025). Esse furono compilate il 1000, 1011 e 1032.

Ruotolo ritiene che i Benedettini, “dopo aver ricuperate le terre restituite, continuarono la loro opera benefica e civilizzatrice ed estesero i loro possedimenti fino a Castel Del Monte, dove costituirono un monastero, dedicato a S. Maria del Monte”.